pubblicato dal Corriere dell’Umbria il 30 marzo 2014
Renzi ha scosso con forza l’albero
della forma partito. Ma il rischio ora e che i frutti marciscano sul
terreno.
Gentiloni ha aperto il dibattito sul
PD da un’angolazione interessante ,dicendo che ”Se
qualcuno immagina due modelli alternativi –a noi le primarie, a 5
Stelle la piattaforma web – si sbaglia di grosso. La comunità dei
democratici ha bisogno di entrambi i modelli per cogliere le
opportunità di questa fase di governo e arginare la sfiducia nella
politica e la crisi della rappresentanza.”
Crediamo che la formula sia
insufficiente, oltre che pericolosa.
La modernità ci può imporre ogni
cambiamento traumatico, ma non quello di rimuovere le ragioni
materiali per cui si fa un partito. La modernità non ci può
impedire di interrogarci su la natura e la mission del nostro
partito.
Possiamo prescindere da questo nodo?
Possiamo essere talmente moderni da
ignorare quali siano le ragioni che ci tengono insieme ? O le
dobbiamo presupporre in base ai ruoli che svolgiamo: il deputato , il
consigliere, il sindaco, l’amministratore, il dirigente locale ? Solo
il fatto di svolgere questa attività risponde alla domanda perchè
stai nel PD?
Se è così, e in molto casi è stato
così, e continua ad essere così, allora abbiamo individuato uno
degli effetti della crisi. Ma non avremo comunque in mano le cause .
Il cambiamento del mondo che ci
circonda è una premessa, e non una formula salvifica.Come e cosa è
cambiato non riusciamo a metterlo comunemente a fuoco.
In questo contesto non basta gestire
l’eredità della ditta, o alleggerire gli apparati? Ne usare la
pratica della rete come talismano o, peggio ancora, come alibi.
Troviamo singolare che proprio
Gentiloni, che con puntualità e solerzia ha sempre insistito sulla
radicalità delle svolte che hanno chiuso le grandi narrazioni del
‘900, non si ponga oggi il tema di una nuova narrazione per costruire
una nuova organizzazione.
Diceva Keynes che “per sostituire
una vecchia teoria non bastano i fatti. Ci vuole una nuova teoria”.
Nuova , ma che sia teoria.
Noi siamo figli, diretti o indiretti,
di una cultura che considerava il partito l’intellettuale collettivo.
E’ stata una grande cultura,una grande strategia di marketing
politico, che per un secolo ha retto .
Oggi cambiano testo e contesto.
La domanda che non possiamo eludere è:
Cosa significa un partito nell’epoca della potenza di calcolo? Cosa
deve essere un partito nell’epoca delle relazioni peer to peer? Cosa
potrebbe essere un partito nell’epoca in cui ogni pensiero deve
declinarsi attraverso un software e dove la connettività è forma e
contenuto della cittadinanza? Come funziona un partito al tempo
della bio politica, dove è all’ordine del giorno la riprogrammazione
della vita e della morte?
Ci sembra poco dire mettiamo insieme
primarie e meet up.
Per quello non è necessario un
partito. Bastano dei comitati elettorali.
Sono i giovani, emancipati,
alfabetizzati, intraprendenti e competitivi che stanno ridisegnando
le mappe della politica.
Questo è il popolo delle start up e
dei beni comuni. IL mondo della net neutrality e dei saperi globali.
La sfera dei lavori autoprogrammati e dello sfruttamento globale. E’
il tempo del dominio degli algoritmi, dove grandi gruppi pianificano
comportamenti e determinano linguaggi. Indisturbati, solitari.
Esclusivi.
In questo scenario si deve muovere il
nuovo partito. Una struttura che connetta quello che le pratiche
dominanti dividono .Che aggreghi saperi sociali sul territorio,
colleghi competenze e bisogni. Faciliti convergenze e
interconnessioni. Anche momentaneamente, su singoli punti, su temi o
valori occasionali. Senza più pretendere una visione totalizzante.
Basta una mission provvisoria.
Pensiamo ad Un partito che rappresenti
comunque un popolo e non un potere, e neanche una semplice funzione
gestionale. Un partito del sapere come valore negoziale. Che stia in
rete cambiando la rete, che dalla dittatura del I like passi
all’eversione del I connect. Un partito del territorio, dove
integrare :talento, tecnologia e tolleranza.Le 3 T di Florida che
oggi sono sicuramente più adeguate del Che fare di Lenin.