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Valentino Filippetti

~ Pecunia viro, no vir pecunia

Valentino Filippetti

Archivi tag: michele mezza

Il ruolo dei sistemi digitali per condizionare le elezioni – di Valentino Filippetti

03 martedì Apr 2018

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algoritmi di libertà, democratica, michele mezza, valentino filippetti

Proprio in apertura del suo nuovo libro (Algoritmi di libertà, Donzelli editore), Michele Mezza, giornalista e docente alla Federico II di Napoli che da anni lavora proprio attorno all’idea di un negoziato sociale della potenza di calcolo, ci dice addirittura che la consultazione del 4 marzo 2018 sarà sicuramente l’ultima in cui hanno avuto rilevanza anche gli esseri umani. Cosa che ancora non riusciamo a capire e a quantificare, per altro.

Del resto lo scenario che ci circonda non lascia certo spazio alla fantasia. Continua a leggere →

“IL CASO ITALIANO DELLA MANIFATTURA DIGITALE ambizioni e prospettive del Made in Italy dell’Innovazione” – Roma 9 maggio 2014

09 venerdì Mag 2014

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mario catini, michele mezza, Stefano Fassina, valentino filippetti

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IL PARTITO COME INTELLETTUALE CONNETTIVO – di Valentino Filippetti e Michele Mezza

12 sabato Apr 2014

Posted by valentinofilippetti in Senza categoria

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Tag

michele mezza, renzi, valentino filippetti

pubblicato dal Corriere dell’Umbria il 30 marzo 2014

 

Renzi ha scosso con forza l’albero

della forma partito. Ma il rischio ora e che i frutti marciscano sul

terreno.

Gentiloni ha aperto il dibattito sul

PD da un’angolazione interessante ,dicendo che ”Se

qualcuno immagina due modelli alternativi –a noi le primarie, a 5

Stelle la piattaforma web – si sbaglia di grosso. La comunità dei

democratici ha bisogno di entrambi i modelli per cogliere le

opportunità di questa fase di governo e arginare la sfiducia nella

politica e la crisi della rappresentanza.”

Crediamo che la formula sia

insufficiente, oltre che pericolosa.

La modernità ci può imporre ogni

cambiamento traumatico, ma non quello di rimuovere le ragioni

materiali per cui si fa un partito. La modernità non ci può

impedire di interrogarci su la natura e la mission del nostro

partito.

Possiamo prescindere da questo nodo?

Possiamo essere talmente moderni da

ignorare quali siano le ragioni che ci tengono insieme ? O le

dobbiamo presupporre in base ai ruoli che svolgiamo: il deputato , il

consigliere, il sindaco, l’amministratore, il dirigente locale ? Solo

il fatto di svolgere questa attività risponde alla domanda perchè

stai nel PD?

Se è così, e in molto casi è stato

così, e continua ad essere così, allora abbiamo individuato uno

degli effetti della crisi. Ma non avremo comunque in mano le cause .

Il cambiamento del mondo che ci

circonda è una premessa, e non una formula salvifica.Come e cosa è

cambiato non riusciamo a metterlo comunemente a fuoco.

In questo contesto non basta gestire

l’eredità della ditta, o alleggerire gli apparati? Ne usare la

pratica della rete come talismano o, peggio ancora, come alibi.

Troviamo singolare che proprio

Gentiloni, che con puntualità e solerzia ha sempre insistito sulla

radicalità delle svolte che hanno chiuso le grandi narrazioni del

‘900, non si ponga oggi il tema di una nuova narrazione per costruire

una nuova organizzazione.

Diceva Keynes che “per sostituire

una vecchia teoria non bastano i fatti. Ci vuole una nuova teoria”.

Nuova , ma che sia teoria.

Noi siamo figli, diretti o indiretti,

di una cultura che considerava il partito l’intellettuale collettivo.

E’ stata una grande cultura,una grande strategia di marketing

politico, che per un secolo ha retto .

Oggi cambiano testo e contesto.

La domanda che non possiamo eludere è:

Cosa significa un partito nell’epoca della potenza di calcolo? Cosa

deve essere un partito nell’epoca delle relazioni peer to peer? Cosa

potrebbe essere un partito nell’epoca in cui ogni pensiero deve

declinarsi attraverso un software e dove la connettività è forma e

contenuto della cittadinanza? Come funziona un partito al tempo

della bio politica, dove è all’ordine del giorno la riprogrammazione

della vita e della morte?

Ci sembra poco dire mettiamo insieme

primarie e meet up.

Per quello non è necessario un

partito. Bastano dei comitati elettorali.

Sono i giovani, emancipati,

alfabetizzati, intraprendenti e competitivi che stanno ridisegnando

le mappe della politica.

Questo è il popolo delle start up e

dei beni comuni. IL mondo della net neutrality e dei saperi globali.

La sfera dei lavori autoprogrammati e dello sfruttamento globale. E’

il tempo del dominio degli algoritmi, dove grandi gruppi pianificano

comportamenti e determinano linguaggi. Indisturbati, solitari.

Esclusivi.

In questo scenario si deve muovere il

nuovo partito. Una struttura che connetta quello che le pratiche

dominanti dividono .Che aggreghi saperi sociali sul territorio,

colleghi competenze e bisogni. Faciliti convergenze e

interconnessioni. Anche momentaneamente, su singoli punti, su temi o

valori occasionali. Senza più pretendere una visione totalizzante.

Basta una mission provvisoria.

 

Pensiamo ad Un partito che rappresenti

comunque un popolo e non un potere, e neanche una semplice funzione

gestionale. Un partito del sapere come valore negoziale. Che stia in

rete cambiando la rete, che dalla dittatura del I like passi

all’eversione del I connect. Un partito del territorio, dove

integrare :talento, tecnologia e tolleranza.Le 3 T di Florida che

oggi sono sicuramente più adeguate del Che fare di Lenin.

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