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stampa vale…liberamente tratto da una riflessione del mio amico Sergio Bellucci…

Sono passati pochi giorni e  una densa coltre di polvere sembra essersi depositata sulle macerie provocate dal terremoto Grillino.Tutto tace. Tace la destra ormai dissanguata dalla trasfusione elettorale verso i Pentastellati;  tace il PD che si è risvegliato con l’incubo della legge elettorale partorita insieme a Berlusconi  qualche mese fa e ora arma perfetta per portate al potere i 5Stelle;  tace la sinistra estrema dilaniata tra l’aiuto fraterno al PD e la fascinazione grillina. Nessuno si azzarda ad esaminare l’enorme spostamento elettorale avvenuto non grazie alla forte astensione ma per il travaso di voti così forte da creare un terzo polo molto piu’ forte dei due che ci aveva regalato la seconda Repubblica. A mio avviso la storia del secondo ‘900, quella del tempo della democrazia, quella costruita sulle rovine della guerra nazi-fascista, che poggiava le sue fondamenta su alcuni pilastri è finita con la crisisistemica aperta nel 2008.Il compromesso sociale ed economico che abbiamo conosciuto nel dopoguerra  aveva piegato, anno dopo anno, la dimensione della “politica” a quella della “gestione delle risorse pubbliche”. Oggi la  politica “ufficiale”  non riesce piu’ a leggere i  processi. Il simbolo di questa miopia è racchiudibile nelle formule salvifiche legate al rapporto con il mitico “territorio”. È invece la dimensione lunga che manca, quella nella quale dare le risposte di fondo, quelle che possono durare “una vita”, quelle che consentono di comprendere i processi, di digerirli, di costruire nessi sociali nuovi e dare un “senso” al proprio agire, individuale e collettivo. Alla politica “sistemica” è sufficiente la trasformazione dell’individuo in “consumatore”. Va bene alle aziende, che con il marketing riescono a prevedere i nostri comportamenti in anticipo, anche sulle nostre decisioni coscienti; va bene alla politica che ci inquadra solo nella nostra “capacità di spesa” che deve essere, più o meno, garantita. Uno scambio ineguale, certo, ma sostanzialmente accettato: a voi il potere a noi il diritto ad un po’ di consumi. La lotta politica rimaneva confinata solo sulle “distorsioni” di tale processo distributivo. Una volta viste da destra, una volta viste da sinistra. Ma mai più un orizzonte “altro”, mai più uno sguardo “oltre il confine” di quell’unica dimensione concessa.La crisi del 2008 ha rotto in maniera definitiva il giocattolo, ma non tutti i soggetti del vecchio gioco sembrano essersene accorti e cercando risposte salvifiche all’interno dei vecchi schemi o negli assestamenti interni dei gruppi dirigenti.Da un lato, infatti, c’è una larga parte della popolazione che non ha compreso la dimensione sistemica della crisi. In fondo, le rassicurazioni che giungono dalla vecchia politica (facciamo un po’ di sacrifici, sistemiamo i bilanci, limitiamo la corruzione, ecc…) producono i loro effetti nell’oscurare il tornante storico che stiamo vivendo. Dall’altro ci sono le persone che intravedono i primi vagiti della nuova politica. Che non solo hanno compreso la natura sistemica della crisi del 2008, ma ne percepiscono la portata dirompente e ri-organizzante delle relazioni sociali, politiche ed economiche. Sono gruppi, individui spesso slegati da rapporti con la politica sistemica. Sono “incarnatori” di pratiche di condivisione, di dono, riorganizzatori di nessi sociali, di modelli di consumo, di produzione, che rifiutano, nelle loro pratiche, i rapporti con la politica istituzionalizzata, non per scelta ideologica, ma per separatezza reciproca del fare: la politica sistemica non può inquadrarli nel suo schema e loro non riescono ad intravvedere nelle formazioni politiche esistenti la cultura sufficiente per un dialogo che non sia puramente accessorio o strumentale. Questi due blocchi, nel nostro paese, sembrano aver trovato la convergenza sul contenitore del M5S. A buona ragione chiamato, dalla vecchia politica interna al sistema, un movimento anti-sistema. Comprendere la qualità vera della crisi sistemica, vuol dire capire che essa non è figlia esclusivamente della crisi della moneta, della finanza, della distribuzione ineguale delle capacità di spesa. Il mondo sta vivendo un tornante. Accanto alla crisi delle politiche neo-liberiste, con tutte le storture sociali che comporta, è il fare umano che è in discussione. I cicli ambientali sono fuori controllo e cambieranno i destini di intere popolazioni. I flussi migratori sconvolgeranno equilibri sociali e culturali. Le risorse alimentari saranno, insieme a l’acqua, il problema del prossimo decennio. Accanto a questo le automazioni introdotte dal digitale ridurranno, progressivamente, la necessità di lavoro umano, producendo una trasformazione epocale della geografia del lavoro e della sua natura. Ma proprio queste emergenze e queste novità ci consegnano il territorio nuovo del conflitto tra le classi, le nuove contraddizioni, i nuovi gradi di libertà ricercati. Le forme di riaggregazione, di nuove forme relazionali, le nuove forme di economie che già alludono alla possibilità di produzione diretta di valore d’uso e non di valore di scambio (per dirla con vecchi linguaggi) ci consegnano il “territorio” nuovo del conflitto tra capitale e lavoro, dello scontro sul potere e la conoscenza che si sta giocando in questi anni. Serve un pensiero lungo, un gruppo dirigente nuovo capace di misurarsi su nuove analisi e nuovi conflitti. Non ci sono persone giuste per tutte le stagioni, né giovanilismi o rottamazioni salvifiche. Serve una capacità di estrazione di intelligenza organizzativa che sappia dare corpo e legami alle pratiche e alle idee che già circolano e che la “politica” non vede per gli occhiali ideologici del sistema in cui è immersa. Per dirla con Adorno, una sinistra che rimane sotto il livello della tecnica non è sinistra, perché culturalmente subalterna. Si può restare subalterni (e quindi inutili) anche gridando “contro” e praticando rappresentanze marginalizzate. Ecco occorre  ripartire da qui, evitando di declamare la necessità di sommatorie inefficaci o di purezze sterili. C’è una politica da costruire.

 

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